Le imprese investono in ricerca .. altroché!


Sono un ricercatore in proprio di Idee, Progetti, Procedure e Sviluppi di carattere logico, ingegneristico, artistico e tecnologico che sono il mio pane quotidiano. Lavoro su commissione di aziende, oppure su idee maturate da me o dai miei partner. Posso semplicemente “imbastire” un complessivo, o “svilupparlo” ad un livello di profondità abbastanza variabile da caso a caso. Svolgo questa attività come Libero Professionista, inserito in tre o quattro team ad attività permanente, e in altri occasionalmente. Complessivamente “siamo” l’equivalente di un Dipartimento di Ricerca. Fisicamente lavoro nel mio Studio, oppure nella mia Officina, oppure presso le Aziende committenti. Importanti progetti escono continuamente dal mio tavolo o da quelli vicini. Settori quali IT sono “solo” strumenti per noi, ne siamo pregni da sempre. Matita e calcolatrice o magari un blocco di polistirolo e un meccano, rendono assai di più al lavoro e costano meno.

Non sono daccordo sul fatto che i cervelli italiani se ne vadano tutti all’estero. Ho prova invece del fatto che la maggior parte delle nostre menti resta qui, che siano talvolta dei diplomati piuttosto che laureati, e molto spesso persone che a stento hanno la terza media. Tutti questi hanno ricevuto grandi doni di natura genetica e si sono applicati molto nel proprio lavoro. Inoltre sono poco visibili perché i luoghi comuni voglio il “ricercatore” ben distinto dall’applicatore comune. In verità questi due ambiti sono strettamente intrecciati e coincidenti sullo stesso soggetto. Di fatto non esiste idea o ricerca che sia, in una mente che non si applichi costantemente. La sola intuizione non basta ma resta fondamentale.

Tutto quel che vorrei sottolineare ..

  • L’innovazione non comporta rischi se a monte c’è un progetto misurato in tutte le sue prestazioni e componenti economiche. Un progetto non costa che una minima parte della “messa in rete” e se non è innovativo non entra (semplicemente) in produzione. Chi lo redige e chi lo implementa nella propria produzione rischia in proprio e se ne assume le debite responsabilità. In Italia si fa a parer mio tantissima ricerca ! Inoltre non mi risulta chiaro il rapporto fra “cervelli in fuga” e “cervelli a bordo macchina”, quando noi percepiamo solo l’esistenza (drammatica?) dei primi. Qualcuno conosce esattamente questi dati ? Non credo ! Le aziende italiane, sia pubbliche che private assieme a un elevato numero di free lance, lavorano silenziosamente tanto alla produzione corrente quanto allo sviluppo, ma poche persone se ne accorgono.
  • Tutto il “Pubblic Management” unito alle contee di “Università” e “Dipartimenti di Ricerca”, risente di alcuni mali cronici. Sono “premiate” a prescindere da eccellenze e risultati prodotti. Sono scatole di innovatori, che tuttavia trasferiscono il prodotto del proprio lavoro intellettuale ad imprese private costituite ad hoc. Usano finanziamenti e risorse pubbliche per il proprio tornaconto personale. Io li chiamo “Ladri” e voi ? Non per questo si devono bloccare i finanziamenti pubblici per principio. Occorre semplicemente individuare le istituzioni che funzionano e chiudere le restanti; chiudere il numero di Laureati/Anno a numeri pari a 1/10 1/20 degli attuali e vigilare sulla eccellenza di chi può farcela, ovvero i migliori.
  • Le grandi imprese pubbliche hanno una sola logica > APPLICARSI CON GARBO, CONCETTO, ED ONESTA’ !!!!  Non hanno niente da innovare salvo ad alleggerire le procedure. Ancora oggi come sempre, meno “pesa” una merce e meno costa. E’ una legge universale. Esse non “devono sopravvivere” sul mercato, devono semplicemente costare quanto basta. Non ci sono utili da produrre. Il loro rischio di impresa è zero. Chi sbaglia va a casa. Chi ruba va in galera. Semplice !
  • Le grandi imprese pubbliche e ancor prima lo Stato devono lasciarci lavorare e non prosciugarci il sangue nei modi più incredibili. A. ci bloccano nelle nostre attività se non gli conviene nel rapporto politico/economico=clientela; B. la burocrazia ci costringe a tempi imprevedibili e soprattutto lunghi (l’unità di misura è il quinquennio), opera d’intesa col politico e tutto fa intoppo di comodo (brodo); C. sono formate da politici, o da essi nominati secondo modalità discutibili, senza un mestiere alle spalle o al quale tornare, non è in grado di “Fare” e neppure di scegliere chi può “Fare”; D. anche inteso come semplice tessera di un mosaico, un politico e un burocrate sono elementi di inerzia a tutto il sistema che in questo modo crolla, la loro esistenza va ridefinita urgentemente in senso disciplinare, occorre una riforma immediata.
  • Non è accettabile che il finanziamento pubblico per l’innovazione vada eliminato e le risorse liberate restituite alle imprese. Ancor meno con una minor tassazione. All’interno di un’Azienda come si potrebbe distinguere un investimento immediatamente produttivo, da uno invece finalizzato ad una ricerca di innovazione ? Vogliamo per caso aggiungere altra burocrazia ? Le imprese devono pagare tasse e imposte in una misura diversa e molto inferiore come condizione di esistenza. Aggiungere il “quid pro ricerca” sarebbe una goccia nell’oceano e una inutile precauzione. Le imprese che hanno voglia di crescere investono già ogni giorno senza che arrivi la politica a stabilire soglie, misure, criteri di carattere fiscale. La fiscalità non può indurre “logiche particolari di impresa”. La ricerca e il merito non sono una gara con un primo, un secondo e un terzo posto, bensì un’aspirazione interiore e profonda dell’essere umano. Sia esso imprenditore, subordinato o partner esterno.
  • Le università, realizzate per motivi campanilistici, vanno chiuse immediatamente. Le Università sono percorsi intrapresi come scelta di vita. Non è una scuola dell’obbligo ma una possibilità. Accessibile a chiunque, il meno costosa possibile, performante, flessibile, ma dal cammino duro .. molto duro ! Il valore legale del titolo di studio deve tornare ad essere un titolo eccellente, che non si compra dal giornalaio. Diversamente ci sono molte spiagge da pulire, campi di grano da riattivare, e fabbriche di pomodoro da servire.
  • Le rigidità contrattuali, anche in materia di somministrazione di lavoro libero e subordinato, flessibile come rigido, sono eliminabili in un colpo solo. Credo che se ci sedessimo a un tavolo ora che è mezzogiorno, avremmo finito non prima di domani. Le riforme sono possibili, immediate, e si basano sulla sola nostra conoscenza e percezione della realtà .. che è un’attimo diversa da come viene concepita dai soliti noti.
  • Il paese deve continuare a vivere con piccole e grandi imprese pubbliche, che forniscono servizi ai cittadini e coordinano le prestazioni aggiuntive da richiedere alle imprese private. Le imprese pubbliche devono occuparsi dei soli servizi fondamentali ai cittadini, devono essere detassate completamente (lo stato non può tassare se stesso), devono fornire una qualità che tenda ad essere omogenea su tutto lo Stato che deve in questo modo alleggerirsi. Le imprese private possono lavorare nel libero mercato sgravate da uno Stato attualmente fallimentare e inaccetabilmente troppo pesante, possono vendere e comprare sul mercato libero, possono decidere di rivolgersi a mercati stranieri a costi ragionevolmente adatti ai costi della globalizzazione. Ugualmente queste possono fornire beni e servizi allo Stato, o in regime di convenzione con questo, ma con gare autentiche e non con questo schifo di appalti che ci ritroviamo. Nelle esportazioni, come nel mercato interno, o nella fornitura di beni e servizi pubblici, la competitività. la sostenibilità, la qualità della vita di tutti deve costituire sistema di priorità assoluta.
  • Sui contratti di lavoro subordinato potremmo discutere a lungo, così come sul famigerato articolo 18. Qualsiasi soluzione voglia mettere ordine a questo delicato capitolo tenga conto di alcuni concetti fondamentali e ferma restando la necessità del “Sistema Paese” di essere flessibile verso nuove ed inquietanti prospettive. Flessibilità significa capacità di adattamento di un sistema sociale ed economico ad uno scenario globale (dai tempi di Marco Polo) e mutevole nei suoi tratti merceologici. Ma flessibilità non può significare introduzione amorale di tecnologia, o delocalizzazioni produttive, o radiazione collettiva di incapaci, senza per questo non considerare che la massa di disoccupati va a minare le fondamenta di uno stato repubblicano e democratico. Una soluzione deve pure esserci che salvi dignità e lavoro per tutti i membri di una comunità, e che al tempo stesso salvi le imprese nel confronto internazionale. Pare che l’attivazione di contratti di collaborazione o contratti a progetto, sia il più grave problema che questo paese deve risolvere. Ma non basta forse rivedere e semplificare l’esercizio di una professione qualsiasi, o regolare con dispositivi elementari l’accesso al lavoro per risolvere il problema ? Tutto questo forse nega l’esistenza del lavoro subordinato depurato dall’appellativo “a tempo indeterminato”? E sulla eliminazione del “lavativo” dalle sorti aziendali, non è sufficiente interrompere il flusso di clientele che Partiti Politici e Sindacati, ancora oggi come sempre, esercitazione come ricatto assunto/protezione nei confronti delle imprese ? Semplificazione e

Alleggerimento di Spesa e Ridistribuzione di occupati e ricchezza, con premio al merito, al rischio, all’impegno .. non conosco altra ricetta!

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